Il coaching è una cosa seria

Il Coaching funziona. Di certo il termine Coaching è usato e abusato in vari ambiti e sono in molti a fregiarsi della qualifica di Coach senza conoscere davvero il metodo che sta alla base di questa disciplina.

Molte sono le organizzazioni che propongono corsi per diventare Coach. Poche sono quelle serie, che seguono il rigore di un programma accreditato da organismi internazionali, o nazionali, e pertinente con le disposizioni della Norma UNI 11601:2015 “Coaching – Definizione, classificazione, caratteristiche e requisiti del servizio”.

Cosa NON è il Coach

Coach significa Allenatore. A parte il mondo sportivo, dove il Coach è un allenatore e formatore che utilizza tecniche diverse per formare gli atleti e prepararli alla sfida che li attende, in tutti gli altri ambiti il Coach è un allenatore di potenzialità che assiste la persona (o il gruppo di persone) e la stimola a fare chiarezza su ciò che desidera, a prendere consapevolezza e a decidere un piano d’azione per raggiungere il proprio obiettivo.

IL COACH NON è: un insegnante, un consulente, un terapeuta, un manipolatore di mente, un saltimbanco motivazionale, un guru, un maestro di vita, un formatore, un mistico.

“Il Coaching è un metodo di sviluppo di una persona, di un gruppo o di un’organizzazione, che si svolge all’interno di una relazione facilitante, basato sull’individuazione e l’utilizzo delle potenzialità per il raggiungimento di obiettivi di cambiamento/miglioramento autodeterminati e realizzati attraverso un piano d’azione.”
(Pannitti – Rossi, L’essenza del coaching, Franco Angeli, 2012).

Il Coaching in un’equazione

Il Coaching affonda le sue radici nell’antichità, essendo un metodo cosiddetto maieutico (dal greco “della levatrice”), molto affine da quello praticato da Socrate, che Platone ci riporta nel Teeto:

“La mia arte di maieutico in tutto è simile a quella delle levatrici, ma ne differisce in questo, che essa aiuta a far partorire uomini e non donne e provvede alle anime generanti e non ai corpi. Non solo, ma il significato più grande di questa mia arte è ch’io riesco, mediante di essa, a discernere, con la maggior sicurezza, se la mente del giovane partorisce fantasticheria e menzogna, oppure cosa vitale e vera. E proprio questo io ho in comune colle levatrici: anche io sono sterile, sterile in sapienza; e il rimprovero che già molti mi hanno fatto che io interrogo gli altri, ma non manifesto mai, su nulla, il mio pensiero, è verissimo rimprovero. Io stesso, dunque, non sono affatto sapiente né si è generata in me alcuna scoperta che sia frutto dell’anima mia. Quelli, invece, che entrano in relazione con me, anche se da principio alcuni d’essi si rivelano assolutamente ignoranti, tutti, poi, seguitando a vivere in intima relazione con me, purché il dio lo permetta loro, meravigliosamente progrediscono, com’essi stessi e gli altri ritengono. Ed è chiaro che da me non hanno mai appreso nulla, ma che essi, da sé, molte e belle cose hanno trovato e generato.

Balzando a tempi più moderni arriviamo a metà degli Settanta. Siamo all’Università di Harvard, dove il prof.  Timothy Gallwey, Coach della squadra di tennis dell’ateneo, scopre come gli alievi, stimolati in una condizione accogliente e non stressante, tendano ad autocorreggersi, facendo emergere un’abilità interiore che progressivamente spazza via tutti i limiti mentali che impediscono loro di giocare meglio. “The Inner Game of Tennis” (il “Gioco interiore del Tennis”) è il Big Bang del Coaching.

Gallway sintetizzò tutto in un’equazione, che ben ci illustra cosa possiamo ottenere attraverso il metodo del Coaching: 

Prestazione = potenziale – interferenze

In altre parole: per una prestazione migliore occorre sviluppare il nostro potenziale e limitare la forza delle interferenze (anche quelle interiori).

Grazie alla relazione di partnership che si instaura fra la persona e il Coach, è possibile elevare il livello della prestazione (per raggiungere un obiettivo) lavorando sul potenziale a disposizione (incluse le risorsre esterne che possano contribuire) e limitando gli effetti negeativi di ciò che interferisce nella nostra motivazione (scuse, credenze limitanti, stili di vita non funzionali) o di ciò che rappresenta un ostacolo oggettivo (limiti fisici, strutturali, economici, di conoscenza, ecc.).  

La Sessione Zero

I nostri Coach adottano diversi modelli di Coaching, da quello di stampo evolutivo a quello più basato sulla performance, per arrivare a formulazioni ibride, che mettano la persona in condizione di affrontare un percorso successivo di formazione, per progetti particolarmente dedicati al Personal Branding e al miglioramento delle relazioni e delle performance in azienda o all’interno di un gruppo.

Qualunque sia il percorso intrapreso, noi di Coach In Bo cominciamo sempre con una Sessione Zero, volta a chiarire tutti gli aspetti etici legati alla privacy, alle modalità svolgimento, alle responsabilità individuali e alle aspettative sui risultati. La Sessione Zero è necessaria per poter stilare un vero e proprio Contratto di Coaching, con il quale il Coach e il Cliente si impegnano reciprocamente.

Le Sessioni di Coaching

Le sessioni di Coaching sono dei colloqui, durante i quali il Coach rivolge domande al cliente (o al gruppo di persone) e ne ascolta le risposte senza giudicare e senza esprimere opinioni o consigli. La sequenza delle domande, i tempi dei silenzi, la capacità di instaurare una relazione accogliente e facilitante, portano la persona a vedere il problema da diverse angolazioni e a comprendere come affrontare lo stato di disagio o di indecisione utilizzando proprie risorse. Una serie di allenamenti commssionati dal Coach fra una sessione e l’altra contribuiranno a migliorare la percezione delle proprie potenzialità e a sviluppare abilità e creatività che saranno rimesse in gioco nella sessione successiva.

Il Piano d’Azione

Se non si passa all’azione per noi non si può parlare di buon risultato del Coaching. Per noi di Coach In Bo è fondamentale che il cliente arrivi a definire un Piano d’Azione autoderminato, con date e impegni precisi, che contempli anche in che modo verificare quel che si sta facendo. E’ importante, infatti, che il Piano, oltre autodeterminato, sia realisticamente attuabile e suddiviso in passi successivi, a breve e medio termine, tutti ben misurabili.