Intervista a Paolo Crepet

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Paolo Crepet: “serve tanto coraggio per cambiare ma ne occorre ancora di più a non cambiare niente”

Paolo Crepet non ha bisogno di tante presentazioni. Psichiatra, sociologo, scrittore, intellettuale senza peli sulla lingua, com’è giusto che sia. Un lungo percorso accademico in Italia e all’estero, cominciato da allievo di Franco Basaglia, arricchito da progetti e collaborazioni in vari campi dall’ambito clinico a quello dell’impresa, passando per il grande tema dell’Educazione, per il quale il Professore ha dedicato anni di ricerche e attività divulgativa.

Da molto tempo ho il piacere e l’onore di collaborare con Paolo Crepet, insieme abbiamo proposto conferenze in tutta Italia con il team di Rizomedia e così sono stato a trovarlo, nella sua bella casa romana, per fargli questa intervista. Domande che nascono dal desiderio di approfondire il grande tema del cambiamento. Crepet ha spesso affrontato l’argomento, sullo sfondo dei suoi importanti lavori sulla felicità, sul coraggio e sulla passione. Tre grandi temi, sui quali ha scritto altrettanti libri di successo, che a mio modo di vedere hanno molto a che fare con il Cambiamento. Cambiare, nel Coaching, significa muoversi da un presente percepito a un futuro desiderato. Per compiere questo movimento occorrono la consapevolezza di dove siamo, la chiarezza di dove vogliamo andare e un piano d’azione che ci aiuti a superare la paura naturale, le credenze limitanti e tutto ciò che ci impedisce di provarci. Quasi sempre le persone chiedono di cambiare per assecondare una loro passione, o per fermare un certo modo di vivere che le passioni le soffoca. Ma spesso le persone si fermano nella loro zona di comodo, soggiogati dalla paura di non farcela.

Professor Crepet, il coraggio e la passione sono due elementi che hanno molto a che fare con il cambiamento delle persone, in che rapporto sono?

“Bisogna partire dal presupposto che serve tanto coraggio per cambiare ma ne occorre ancora di più a non cambiare niente. Da ciò si evince che quello che a un certo punto della vita sembra una cosa quasi impossibile da realizzare, è in realtà una sottovalutazione dei rischi collegati alla bonaccia, è la conseguenza del non fare nulla. Un rischio che a medio e lungo termine provoca un graduale, leggero e impercettibile calo della gioia, della voglia di vivere, dell’entusiasmo. Poi passa il tempo e la situazione diventa quasi immodificabile. Per cui già quando qualcuna o qualcuno si mette nell’ordine di idee della necessità del cambiamento è già un segnale enorme. C’è un barlume di voglia. Molti non hanno neppure questo. Si fermano molto prima. Questo naturalmente è un grande problema, da tanti punti di vista. Credo sia importante valutare sempre che quando non scegliamo stiamo invece scegliendo di non scegliere. Uno pensa che a non scegliere si risparmi ma non è così. È come se uno con una Ferrari la tenesse sempre in garage: paghi comunque il bollo, l’usura e il non godimento della macchina, che è un valore, anche materiale. È la stessa cosa che facciamo a non scegliere, con aggiunto l’impegno di una grande fatica mentale”.

All’inizio non so dove andare. E se una volta scelta una strada scopro che è sbagliata?

“Ci si pone sempre un sacco di domande ma non si pensa che rimandando non si risparmia nulla. In realtà non si tiene conto dell’invecchiamento cerebrale che c’è da quando smetti di pensare. È come quello che diceva: la vecchiaia inizia quando cominci a non muoverti più. E non solo fisicamente ma anche mentalmente. E può succedere anche a vent’anni. Smetti di pensare, ti fai bastare quello che hai, galleggi, non ti fai domande, azzeri tutto l’apparato emotivo e le aspirazioni. È come quello che spegne il motore guidando in discesa. Certo, risparmia benzina ma consumano i freni, le gomme e tutto il resto. E non si accorge di nulla perché mentre l’indicatore della benzina lo vede, l’usura dei freni e delle gomme sul cruscotto non appaiono. Ma esistono. Tu guardi solo ciò che vedi, mentre bisogna tenere in conto anche ciò che non si vede”.

Come riconosciamo la passione?

“La passione è l’inquietudine che nasce dal voler fare, la passione è come il mare che certe mattine, prima dell’alba, è piatto e fa giorno che comincia ad avere le onde. Questa è la passione. Il mare piatto è la vita peggiore che puoi avere, ma poi comincia a incresparsi con qualche ondina, che c’è sempre, perché la vita è più intelligente di noi e ti propone sempre qualcosa, in realtà. Ti propone qualche esperienza, un’occasione di un piccolo viaggio, l’idea di andare fuori in un posto a cena in cui incontri una persona. Se uno non esce dalla cantina fa la fine dell’aceto balsamico, invecchia e basta”.

Vedo questi segni, ma se faccio finta di non vederli?

“In quel caso metti in moto un motore che serve a opporre resistenza. Consumi comunque, perché l’idea che non si consumi niente è una bugia. Tu metti in moto un motore per resistere al moto proprio della vita. Consumi benzina in retromarcia, che non è il massimo dell’intelligenza, e quando la vita è passata quei chilometri lì non te li restituisce nessuno”.

C’è un momento in cui è troppo tardi?

“Non è mai troppo tardi, però bisogna farlo presto. L’uomo si abitua a qualsiasi cosa. La capacità, in senso positivo, di adattamento dell’uomo a qualsiasi condizione della propria esistenza è straordinaria: c’è chi non è morto nei lager, chi non è morto in galera in Russia. Ci sono ragazzi che partono dal centro Africa e fanno 4 o 5 mila chilometri a piedi, e dormono per la strada e rischiano di essere uccisi tutte le notti. Ognuno di noi pensa che non ce la farebbe mai: ma la risposta è che l’uomo ce la fa. Ci si abitua anche alle situazioni negative: è un bene dal punto di vista della resilienza ma è un male dal punto di vista morale. Ti adatti a non mettere più in discussione la condizione in cui ti trovi”.

Si trovano delle scuse: la mia famiglia, il mio lavoro, la mia impresa… sono freni?

“Si devono guardare le cose dai due lati. Le coppie che non si separano per i figli fanno un grave errore. I figli vorrebbero una vita serena, non un far west: se vuoi fare qualcosa per i figli, in quel caso, ti separi. Quella è una scusa per non fare niente. Perché la separazione costa e un’amante la trovi. Oppure si dice “Non cambio città perché la mamma sta male”. Questo è pessimismo. Non si tiene conto del desiderio altrui: la mamma magari vuole un figlio realizzato, che torna a casa alla domenica sorridente, non gli interessa di vederlo tutti giovedì triste. Se uno ci pensa, c’è sempre una buona ragione, non egoistica, per il cambiamento. Se il cambiamento porta a maggiore gioia, contentezza, allora uno dovrebbe dire: “Mi basta””.

Come si fa a educare alla passione?

“Non si può, non si fa. La passione non avviene attraverso un’educazione ma dall’esempio. Se sei in una bottega di liutaio, se sei un giovane ragazzo che vede il maestro che piega il legno come cera, guardando le mani di quell’uomo, ti innamori delle infinite possibilità che le tue mani hanno. Il segreto della passione ti fa sentire meno la fatica: quando fai le cose con passione sopporti molto di più le fatiche del viaggio, di qualche frustrazione, di qualche imbecille che si incontra. Se fai le cose perchè devi farle, che non ti piacciono e non hai scelto, la fatica e le frustrazioni si moltiplicano per dieci. La vita apatica, senza passione, è una vita faticosissima. Molto più faticosa di chi fa il globe-trotter appassionato. Questo si vede anche nello sport: se uno provasse a fare una discesa libera come la fanno i campioni, arriva giù vivo, ma con una fatica e uno stress tremendi. Perché gli hanno detto che lo deve fare. Chi è appassionato la fa nel miglior modo possibile ed è felice. Chi la fa controvoglia arriva stralunato e maledice chi l’ha costretto. È la stessa cosa. La passione ti fa fare cose incredibili: le cose ti piacciono. È il meccanismo chimico del piacere che ti fa cercare le cose”.

Ma come mai se siamo riusciti a far della nostra passione un lavoro, dopo un po’ di tempo non è più come prima?  

“In quel caso la passione rischia di spegnersi, perché bisogna capire che essa non è una cosa una tantum che compri e ti porti a casa. Anche il frigo dovrai cambiarlo e la passione dura molto meno di un frigo. Deve essere rinnovata, rimessa in gioco. Quando l’imprenditore fiuta un affare comincia a pensare a come fare per realizzarlo, e quando sta per realizzarlo, è già pronto a pensare a qualcos’altro. Altrimenti rimane fregato”.

E la scuola cosa può fare per la passione?

“La scuola deve essere un luogo appassionante, e non può esserlo tutte le ore della giornata o per tutte le materie. Ma è un diritto universale dei ragazzi che vanno a scuola trovare qualcosa che li appassiona. Magari non è per tutta la vita però intanto assapora cosa vuole dire: cominci con Leopardi e poi nella vita ti appassioni ad altro. La scuola è il principio evocativo dell’esistenza. Le prime note della sinfonia… altrimenti è una noia”.

Massimo Max Calvi @2019

Massimo Calvi

Coach ACC – ICF

Massimo Calvi è Coach con credenziali internazionali ACC – ICF e dal 1991 è giornalista (è iscritto all’Ordine nell’elenco dei Giornalisti Professionisti). Particolarmente orientato al mondo business, ha una forte passione anche per le sfide personali e, per questo, svolge volentieri anche sessioni di Life CoachingGroup Coaching e Team Coaching.

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