Massimo Calvi e il coaching

Coaching Bologna

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Massimo Calvi è Coach con credenziali internazionali ACC – ICF e dal 1991 è giornalista (è iscritto all’Ordine nell’elenco dei Giornalisti Professionisti). Particolarmente orientato al mondo business, ha una forte passione anche per le sfide personali e, per questo, svolge volentieri anche sessioni di Life Coaching, Group Coaching e Team Coaching. E’ il fondatore di Coach In Bo.

Qual è stato il tuo primo approccio al Coaching e perché l’hai approfondito?

“Mi occupo da tanti anni di comunicazione. Inoltre mi occupo anche di relazioni esterne e interne alle aziende. Mi è venuto naturale approfondire l’argomento poiché ho notato che nelle mie consulenze e nei miei progetti inciampavo sempre più spesso sull’aspetto della performance delle persone. Ho cercato di approfondire studiando, intervistando persone e imprenditori e ho frequentato corsi, in Italia all’estero. Ho capito che ci sono due grandi pericoli nello sviluppo del nostro potenziale: le zone di comfort e le credenze limitanti. Grazie alle tecniche del Coaching, applicate come da manuale o in modo ibrido con altre discipline, oggi riesco ad assistere i miei clienti business in maniera più efficace e anche a gestire meglio i team di lavoro. Sono applicazioni che sono spesso chiamato a illustrare come relatore o docente, cosa che faccio con piacere”.

Qual è la differenza tra coach e motivatore?

Una delle caratteristiche del Coaching è proprio il fatto che tutto dev’essere misurabile. O ha funzionato o non ha funzionato, e se non ha funzionato andiamo a vedere come mai e se si può fare qualcosa, o se c’è un piano B. E’ un approccio molto concreto. Ci sono coach che fanno anche conferenze o seminari dall’effetto motivazionale dove ti spingono o ti indicano cosa sarebbe meglio per te, ma è bene sottolineare che in quei frangenti non stanno facendo coaching. Quello non è Coaching. Magari in quelle occasioni utilizzano alcune abilità del coach, le cosiddette coaching-skills, ma stanno facendo altro. In passato ho partecipato a un paio di seminari di Tony Robbins, uno dei quali lungo quasi una settimana, e posso dire con cognizione di causa che siamo in ambito diverso. Robbins è un coach molto famoso, ha lavorato con noti capi di stato, a cominciare da Clinton e Gorbaciov, con stelle dello spettacolo, con governi e anche con le forze armate americane. Ma quando è sul palco davanti a migliaia di persone, che poi accompagna a camminare sulle braci, non sta facendo Coaching. E’ un’esperienza molto potente, ma non è Coaching. Il che non significa che possa servire a innescare un cambiamento, dipende dalla persona, da cosa sta cercando in quel momento della sua vita. A qualcuno serve ad altri no, altri ancora finiscono per diventare “dipendenti” degli eventi motivazionali e ne frequentano di continuo. Ecco, a questi ultimi forse un bel percorso di Coaching individuale potrebbe essere utile e conveniente dal punto di vista economico”.

Come si individua un coach di valore?

“Purtroppo in Italia non c’è un albo, io consiglio di affidarsi a un professionista che abbia studiato il metodo del coaching in scuole che abbiano un riconoscimento dalla massima organizzazione mondiale che è l’ICF. Questa organizzazione, nel business, è universalmente riconosciuta come la più autorevole. Oltre a ciò è un ulteriore valore se il coach può esibire delle credenziali ovvero se abbia conseguito certificazioni specifiche rilasciate dall’ ICF dopo determinati percorsi, certificazioni valide a livello internazionale. Infine va considerata la cosa forse più importante: il coach deve proporvi un contratto o un patto di coaching, con le regole d’ingaggio chiare e scritte, se non lo fa scartate subito quel coach”.

La strada per raggiungere un obiettivo può non essere lineare, come si fa?

“Non è quasi mai lineare, in verità, perché se lo fosse non ci sarebbe bisogno del coach. Il Coaching porta la persona a sviluppare il cosiddetto pensiero laterale, cioè modi diversi di vedere la cosa e diversi modi per arrivare a ottenerla. Molte volte ti auto-convinci di non potercela fare e ti poni tu stesso un limite, oppure sei influenzato dal giudizio degli altri, dall’educazione ricevuta. Sono le cosiddette credenze limitanti. Attraverso le domande di esplorazione e le domande efficaci la persona si vede in modo diverso e vede in modo alternativo il percorso che ha davanti. Nel rispondere al coach la persona risponde a se stessa”.

Per fare domande serve saper ascoltare, giusto?

“Usiamo una tecnica che si chiama ascolto efficace. Si tratta di un ascolto vero, rispettoso dell’altra persona, dei suoi tempi, che si basa anche sul non verbale e sul paraverbale. Nel Coaching, come anche nella vita, il non detto è spesso più vero del detto”.

A quali tipi di azienda o organizzazioni consiglierebbe un dialogo perlustrativo sul Coaching?

Tutti possono trarre vantaggio dai percorsi di coaching, dalle singole persone alle organizzazioni. E’ chiaro che le aziende molto strutturate e molto grandi, dove c’è un responsabile delle risorse umane, non hanno bisogno di consigli perché si rivolgono già a professionisti con queste caratteristiche. Le piccole e medie imprese, invece, non sono strutturate in questo ambito e potrebbero trarre grande giovamento dal coaching. Il team coaching, ad esempio, è utile anche per la definizione di strategie aziendali”.

 

Massimo Calvi

Coach ACC – ICF

Massimo Calvi è Coach con credenziali internazionali ACC – ICF e dal 1991 è giornalista (è iscritto all’Ordine nell’elenco dei Giornalisti Professionisti). Particolarmente orientato al mondo business, ha una forte passione anche per le sfide personali e, per questo, svolge volentieri anche sessioni di Life CoachingGroup Coaching e Team Coaching.

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